Detroit agorà della Street-Art e dell’arte contemporanea.
di Giorgia Santambrogio (web designer QUBLA)
pubblicato su UrbanSigns.net
Morire, reinventarsi e risorgere questa la storia di Detroit.
Famosa per l’8 mile, pericolosa strada della città che divideva il quartiere bianco da quello di colore, ha visto il suo boom industriale legato al settore dell’industria automobilistica dagli anni ‘20 per questo è soprannominata “Motor City”, oggi è sede della General Motors.
Vicino alla downtown sorge il Detroit Institute of Arts, costruzione in stile neoclassico, famoso per “Detroit Industry Murals” i dipinti del messicano Diego Rivera, compagno di vita di Frida Kahlo, ispirati al legame tra questa città e l’industria automobilistica ma che segnano, inconsapevolmente, il legame che avrebbe avuto con l’arte questa metropoli statunitense.
Detroit “Institute of Arts” – © Wikimedia Commons
Fino agli anni ‘30 Detroit era una delle città più importanti d’America, un fiorente centro industriale con una popolazione di oltre due milioni di abitanti e uno skyline impressionante paragonabile a quello delle città più importanti degli Stati Uniti, come New York e Los Angeles, e suoi edifici storici hanno reso omaggio alla vitalità di questa città.
Detroit è una città di confine, la contaminazione è nel suo DNA. Situata al confine est degli Stati Uniti, fondata nel 1701 da cacciatori di pellicce francesi, confina con il Canada. Il suo nome deriva dal francese Rivieré du détroit “Fiume stretto” essendo sorta sulle rive del fiume che porta il suo nome e che collega due grandi laghi americani Huron (nome preso dai nativi americani che popolavano le sue rive) ed Erie.
Di fianco una vecchia piantina dove si può vedere dove sorge Detroit (1878).
Sopra una vecchia cartolina dipinta della citta che sta nascendo (1889).
© Wikimedia Commons
Il suo declino è iniziato all’inizio degli anni 40, un crollo economico e sociale, ed è proseguito negli anni ’60 con le violente rivolte razziali. La classe operaia, prevalentemente bianca, ha abbandonato la città e alcune zone residenziali centrali sono state abbandonate. Questo fenomeno sociale detto anche “volo bianco” o “volo urbano” ha provocato l’abbandono di più di 30.000 abitazioni e terreni. Anche il suo soprannome è cambiato in questi anni e da Motor City è diventato Murder City e questo perchè Detroit ha un tasso di criminalità che è il più alto degli Stati Uniti.
Successivamente queste zone residenziali centrali sono state parzialmente ripopolate da una popolazione più povera e prevalentemente di origine afroamericana.
Nel 2013 l’amministrazione di Detroit dichiarò fallimento per l’impossibilità di pagare i debiti pubblici contratti per un ammontare di 20 miliardi di dollari, per tutto il 2014 fu posta in amministrazione controllata da parte del governo federale.
Quei gloriosi edifici ora sono in rovina e si mostrano ad una America scioccata per la fine di questa città un tempo prospera e vitale.
La sua attuale popolazione è di poco più di 600.000 persone, infatti, due terzi degli abitanti l’ha lasciata, abbandonando case e terreni al loro destino.
© Lester Graham
© Atomazul
© Roel Paulme
© R. Wellen Photography
© Wikimedia Commons
© A_ndrew
© A_ndrew
© Zackry Stetler
Ma qualcosa all’inizio di questo nuovo secolo è cambiato, grazie anche all’opera dei più famosi street artist che hanno dato un decoro all’abbandono, riqualificando quelle strutture spettrali abbandonate all’incuria ed esposte agli eventi atmosferici, dove gli altri vedono ruderi e ruggine loro vedono una tela bianca dove poter esprimere la loro arte, se stessi, dove gli oggetti abbandonati diventano parte di opere d’arte a cielo aperto.
Infatti Detroit, grazie anche al fatto che alcune zone abbandonate sono poco sorvegliate, è diventata il paradiso degli street artist, fonte di ispirazione per scrittori e artisti che arrivano da tutte le parti degli Stati Uniti e anche dall’estero.
Tra gli artisti che hanno contribuito al risveglio artistico, e non solo, di Detroit spiccano Pose, Revok, Askew, Risk, Rime, Flying Fortress, Nychos, Decolonize e soprattutto Nekst al quale è stato dedicato alla memoria la facciata occidentale e la parete meridionale del muro del The Museum of Contemporary Art (Fb – Web) dagli altri artisti graffitari venuti per l’occasione dal resto degli Stati Uniti e non solo. La caratteristica dei suoi graffiti era l’uso dell’argento e soprattutto i posti inconsueti e tal volta pericolosi dove graffitava (su Nekst/Sean Griffin, scomparso nel 2012, renderemo omaggio a breve con un articolo dedicato alla sua opera in “Personaggi”).
The Museum of Contemporary Art con il muro graffittato dedicato a Nekst on © Pinterest
Nekst on © Facebook
Acquistare uno spazio a Detroit è facile, con circa 11.000 dollari acquisti un quartiere intero.
Ogni giorno sorgono botteghe artistiche, di design di prodotti, dove il riciclo, il riutilizzo dei materiali abbandonati è parte integrante dell’arte, è un modo nuovo di vivere per una città che rinasce in modo sempre più sostenibile, una città che ha trasformato un elemento negativo in un punto di forza.
Questa nuova vitalità, questo fervore artistico, ha mosso i suoi abitanti che hanno creato associazioni ed hanno iniziato a prendere possesso di numerosi lotti di terreno sfitti, proprietà del comune, per utilizzarli a scopi agricoli e sociali in questa nuova grande community garden.
In una città con migliaia di case vuote ed abbandonate, in quartieri deserti, prospera una comunità di artisti che, tra tradizione e innovazione, genera continue opere d’arte.
African Bead Museum on © Facebook (Fb)
Tra questi l’artista originaria di Oakland Monica Canilao (Fb) che con la Power House Productions, organizzazione no-profit locale che sostiene la rivitalizzazione dei quartieri di Detroit, trasforma un fatiscente Vittoriano in un oggetto artistico via di mezzo tra street art e architettura, questo sul terreno che circonda il suo African Bead Museum (Fb) dove incorpora materiale di scarto, recuperato dalle case fatiscenti, che diventano sculture e installazioni di arte contemporanea.
Monica Canilao (Fb) on © Facebook
L’ex dipendente della General Motors Dmytro Szylak costruisce sul cortile della sua casa opere d’arte, con materiali di recupero, e ha saputo creare un ambiente visionario in stile Disney che evoca la fabbrica, in cui ha lavorato per anni, con le parti meccaniche e i meccanismi e le sue origini ucraine.
© Nina Alizada
© Nina Alizada
© Belikova Oksana
Uno dei primi progetti di riqualificazione a Detroit è quello che ha interessato il quartiere ad est di Detroit, McDougall-Hunt, a nord dell’area a popolazione prevalentemente di colore di Black Bottom, a quattro chilometri dalle torri del centro città, e questa vicinanza è sorprendente se si pensa che il progetto è nato dallo stato di abbandono del quartiere.
Il Progetto Heidelberg (IG – TW) creato dall’artista Tyree Guyton, da sua moglie, e dal nonno di Tyree, Sam è un progetto di arte all’aperto, un processo di riqualificazione che ha reso le abitazioni opere d’arte, un vero e proprio Museo all’aperto, per riqualificare il quartiere che iniziò a deteriorarsi dopo le proteste del 1967, riqualificazione che è iniziato nel 1986, dopo il ritorno dell’artista dal servizio militare.
Il progetto interessa più di 27 lotti di terreno ed è sempre più in espansione, è resistito alle proteste e a incendi dolosi (12 attacchi) che hanno distrutto alcune case parte del progetto.
Attualmente ci sono tour educativi e programmi per la scuole, ha ricevuto sovvenzioni da parte del Dipartimenti per gli affari culturali della città che ha permesso di creare una caffetteria e un centro di accoglienza, ha ricevuto fondi da private fondazioni e da Università americane dove Guyton aveva esposto le sue opere che sono anche esposte in Musei in America.
Heidelberg Project ha attirato nel quartiere altri artisti e studenti d’arte, infatti il progetto include anche corsi d’arte e gallerie espositive. Le stesse Scuole d’arte sorte in città offrono nel programma di formazioni collaborazioni al progetto stesso che mirano a migliorare le capacità artistiche e di leadership dei propri studenti.
Heidelberg Project non è un progetto solo di riqualificazione del quartiere, non è stabile, negli anni è stato smantellato e ricostruito, ha cambiato aspetto e grazie alla digital company Isobar nel 2018 ha creato un APP per iOs e Android per creare una sorta di esperienza di realtà virtuale del progetto ma che è anche un aiuto per le visite in presenza in Heidelberg Street.
© Nina Alizada
© Nina Alizada
© Belikova Oksana
Le fabbriche hanno chiuso, molti se ne sono andati, e ci sono tanti luoghi a Ditroit che ci ricordano un pò Pripyat dopo il disastro di Chernobyl, ma la grande voglia di lavorare e vivere a Detroit non è mai stata più viva di adesso e molti, giovani e meno giovani, stanno tornando in questa nuova Detroit così piena di arte e di energia.